30 Ott INTERVISTA ALL’ESPERTO
Dott. Elena Tigli
Psicologa
Negli ultimi anni, per una serie di circostanze, mi sono trovata a guardare sempre meno la televisione e non nego che la cosa si sia rivelata una gran bella esperienza. Sono stata tagliata fuori da tutte serie tv che imperversano, dal gossip tra i partecipanti dei vari reality show, eccezion fatta per le mirabolanti avventura di Masha e Orso!
L’altra notte, però, non riuscivo proprio a prender sonno, così mi sono alzata e mi sono fatta una tisana (ok, non è vero…era mezza tavoletta di cioccolato), ho iniziato a fare zapping e mi sono imbattuta in un programma che parlava di accumulatori seriali. Case al limite dell’impossibile, ammassate ben oltre l’umano consentito e proprietari in balia degli oggetti e di sé stessi, aiutati da psicologi e psichiatri. Sì, quando l’accumulo raggiunge livelli estremi diventa una patologia, chiamata disposo fobia o disturbo da accumulo. Personalmente ho già iniziato a leggere qualche articolo e qualche libro per capirne un po’ di più, ma ho pensato che intervistare una psicologa, che stimo molto e che ha trattato questa patologia con alcuni suoi pazienti, potesse essere davvero più semplice per aiutarci a fare chiarezza.
– DOTTORESSA TIGLI, COME SI RICONOSCE UN DISPOSOFOBICO, O COME UNA PERSONA CHE SOFFRE DI DISTURBO DA ACCUMULO CAPISCE DI AVERE UN PROBLEMA?
Un disposofobico si riconosce da una particolare predisposizione ad accumulare oggetti o meglio, secondo alcune definizioni, dalla fobia del riordino, così come dice il nome. In queste persone, infatti, l’idea di riordinare gli oggetti di vario genere accumulati in forma seriale li predispone all’essere senza protezione e, quindi, ad essere vulnerabili… è l’idea di vulnerabilità che non viene tollerata e che, quindi, crea ansia, fobie, panico e vera e propria angoscia. Dietro il disturbo qualche volta ci sono dei traumi (dal cui ricordo ed effetti sulla psiche i soggetti si proteggono), delle separazioni o forme depressive. Questi soggetti si riconoscono dal fatto di non poter fare a meno di accumulare oggetti intorno a sé in modo compulsivo.
– ALDILA’ DEL PIU’ ONOREVOLE LAVORO PSICOLOGICO (CHE NON MI COMPETE), UNA VOLTA INDIVIDUATE LE CAUSE CHE HANNO PORTATO A QUEL MODO DI VIVERE, COME SI INIZIA AD “OPERARE SUL CAMPO”?
Si inizia ad operare sul campo, partendo da un lavoro più che altro cognitivo ed emotivo. Si porta quindi il soggetto a riconoscere di avere un problema ed a riconoscere le emozioni legate all’azione di accumulo, o meglio le emozioni che scatenano l’impulso a portare ulteriori oggetti nella propria vita. Una volta fatto questo, che può richiedere tempistiche più o meno lunghe, si può procedere ad un’azione comportamentale, che comprende l’eliminazione parziale o totale degli oggetti accumulati, oppure un riordino basato su un criterio vivibile per il soggetto.
– È POSSIBILE/AUSPICABILE UN INTERVENTO COMBINATO TRA UNA PSICOLOGA ED UNA P.O. E COME POTREBBE AVVENIRE?
Assolutamente auspicabile un intervento combinato tra una figura terapeutica e una figura più tecnica, che potrebbe appunto intervenire in questa seconda fase più comportamentale, magari inizialmente con la guida e l’accompagnamento dello stesso terapeuta e secondariamente in autonomia con la persona coinvolta.
Per l’intervista un sentito ringraziamento per la professionalità e l’estrema disponibilità alla
Dott. Elena Tigli
Laureata in psicologia sociale e dello sviluppo.
http://www.menteanima.it
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